Le Terme - Una storia di acque millenarie
(Matteo Donato)
Oggi che le acque sulfuree delle moderne Terme acesi trovano larga utilizzazione in medicina per la cura di malattie le piu' disparate, ci sembra di un certo interesse chiederci quale sia stata attraverso i secoli la conoscenza delle loro qualita' terapeutiche. Per rispondere al quesito, ci serviremo della documentazione sia archeologica che storica sulle sorgenti e sulle antiche terme romane in contrada Reitana (comune di Acicatena).
Anteriormente al suddetto impianto termale, che secondo recenti studi e' stato edificato nel IV secolo d. C., non abbiamo che assai esili tracce.
Sembra infatti che esso sia sorto al posto di un precedente impianto (forse greco); accanto rimangono i resti del basamento di un tempietto romano forse di eta' repubblicana, probabilmente dedicato a Venere.
(Anche il nome originario dello stabilimento romano fino al presente rimane sconosciuto: la denominazione di "Terme di S. Venera al Pozzo" e' secentesca, quella di "Terme sifonie" si deve a campanilistiche conclusioni di una parte della storiografia acese).
I resti termali provano che le qualita' terapeutiche delle acque solfuree della sorgente naturale da tempo godevano di un discreto credito tanto da determinare l'impianto stesso.
Due gli ambienti superstiti: precisamente un tepidarium ed un calidarium. (Le suspensurae testimoniano che il riscaldamento si effettuava con la circolazione di aria calda sotto il pavimento, mentre i densi vapori sulfurei fuoriuscivano dai buchi realizzati con tubuli fittili incassati nella copertura a volta.
Recenti scavi hanno portato alla luce un'ampia vasca quadrangolare pavimentata che molto probabilmente doveva costituire il frigidarium all'aperto). L'insieme lascia supporre che le terme fossero un piccolo stabilimento di uso pubblico atto in primo luogo alla cura di malattie a carattere reumatico e forse di quelle esantematiche.
Il sopraggiungere del Medioevo segna l'inizio di un lunghissimo periodo di silenzio ed e' soltanto dopo piu' di dieci secoli dalla supposta costruzione dell'edificio termale che si parlera' di nuovo delle Terme. Da quel periodo di silenzio proviene pero' una leggenda che avra' tanta influenza, in seguito, sulle concezioni degli autori che scriveranno sulle nostre acque sulfuree.
La leggenda, che testimonia ancora una volta lo spirito fantastico e la innata religiosita' del Medioevo, narra che nella prima meta' del II secolo la vergine Venera - la Santa che sulla fine del 1600 sara' assunta a tutrice di Acireale - presto' la sua opera di apostolato presso le Terme, in qualita' di infermiera e che dopo il martirio il suo corpo - secondo alcuni il solo capo - venne gettato nel pozzo, cioe' nella sorgente a pochi metri dalle Terme stesse.
Da cio' possiamo desumere che il luogo, divenuto meta di devoti pellegrinaggi, sia stato molto frequentato in tutti quegli oscuri anni anche per usufruire delle acque che erano considerate miracolose: la credenza popolare infatti le riteneva rigenerate del sangue di Santa Venera.
Benche' assai viva fosse la devozione, la costruzione in quel luogo di una Chiesa dedicata alla Santa - l'edificazione di una chiesetta risalente ai primi tempi del Cristianesimo non ha trovato fino ad oggi un concreto riscontro e' opera piu' tarda e risale alla fine del 1300.
Nel 1422 nella piana antistante alla sorgiva fu concessa dal re Alfonso d'Aragona la "Fiera Franca", grande mercato annuale esente da dazio. Al tempo della istituzione della Fiera gli impianti termali romani certamente non erano piu' in funzione, mentre non v'e' da dubitare - tenendo anche conto della credenza popolare di un intervento miracoloso della Santa, cui gia' accennato - che in una certa misura si fruisse delle acque.
Mantenendosi costante la devozione degli Acesi, intorno al 1600 si provvide a restaurare la primitiva chiesa; poi tra il 1622 ed il 1641 il tempio fu nuovamente riedificato. In quegli stessi anni la "Fiera Franca" fu definitivamente trasportata in Aquilia Nuova (l'attuale Acireale) non soltanto per i frequenti e temuti attacchi dei pirati ma anche per le brighe degli Aquiliani che, con evidente esagerazione, sostennero che l'aria attorno alla chiesa di S. Venera al Pozzo era malsana per i "miasmi mortali" esalati dalle acque che impaludavano. Il luogo cosi' ritorno' ad essere soprattutto meta di malati devoti.
Con riferimento al culto di Santa Venera, e' interessante seguire la lunga controversia - iniziatasi all'incirca nella prima meta' del '600 e protrattasi per quasi un secolo e mezzo - tra alcuni scrittori convinti degli interventi miracolosi della Santa ed altri, invece, delle virtu' naturali delle acque.
Sono proprio tutti questi scrittori a fornirci indirettamente delle preziose testimonianze.
Per quanto ci e' dato sapere il primo che abbia scritto dell'intervento miracoloso di S. Venera e' stato Rocco Pirri nella sua "Sicilia sacra" (1644): "Presso le diroccate terme di Aci e' il pozzo di S. Venera le cui acque per volere di Dio (divinitus) giovano alla salute degli uomini".
Nel "divinitus" e' chiaramente espressa la posizione dell'autore, il quale di conseguenza non accenna a malattie determinate, ritenendo senz'altro che l'intervento miracoloso potesse dispiegarsi su tutte.
Notevole anche l'"eversas Acis Thermas", che documenta come agli inizi del XVII secolo le terme romane fossero una costruzione in rovina.
Della stessa opinione del Pirri si mostrava don Francesco Gravina nella sua "Vita di S. Venera" (1645), in cui fra l'altro si legge: "... dalla mano liberale di S. Venera, merce' ad un pozzo di acqua salutare, della quale chi beve con vera devozione, ancorche' di qualunque infermita' perduto, ne riporta il guiderdone della salute".
Secondo il Gravina era la "vera devozione" a rendere efficaci i poteri salutari dell'acqua si' da far guarire da qualsiasi male.
Di idee opposte a quelle del Pirri e del Gravina, furono due gesuiti: padre Ottavio Gaetani, che si mostro' pieno di riserve circa gli interventi miracolosi, e padre Pietro Salerno, che nelle sue "Animadversationes in vitas Sanctorum Siculorum", riferendo la tradizione del martirio di S. Venera, loda la religiosita' della citta', ma ammonisce che i miracoli devono essere attentamente esaminati (miracula diligenter perpenda esse moneo).
Il Salerno, invero, si mostro' dell'opinione che nelle acque del pozzo degli antichi "Bagni", prorompenti dalle caverne dell'Etna fosse presente una virtu' naturale, una particolare vis terapeutica (a natura vis inest adversum morbos).
Dal testo del Salerno possiamo ricavare alcune importanti notizie: una prima costituita dal "putei acqua loti multis sanantur morbis" (dopo essersi lavati con l'acqua del pozzo si guariscono di molte malattie) che ci fa pensare al tipo di bagno quale oggi si pratica a Lourdes; un'altra ci e' offerta dal "ruinae" (veteres balneae sunt, quorum ruinae adhuc manent), dato interessante perche' ci fa escludere che per quei bagni fossero usati gli impianti termali. Infine e' da notare come anche nel Salerno manchi un accenno a cure di malattie specifiche.
Contro la posizione del Gaetani e del Salerno, muoveva, pieno di zelo, il cappuccino Anselmo Grasso, che nelle sue "Ammirande notizie della patria vita a trionfi della gloriosa S. Venera" (1687) tentava di dare fondamento quasi scientifico proprio alla tesi dell'intervento miracoloso, citando sia le mutazioni in rosso dell'acqua (delle quali tosto diremo), sia "le celesti apparizioni del capo della Santa", sia le molte grazie ricevute dagli Acesi.
Cosi' il Grasso dopo avere accennato all'interessante "costume ordinario di tutti gli acesi" di lavarsi gli occhi alla fonte, ci presenta un lungo particolareggiato elenco di malati a suo avviso miracolosamente guariti, affermando di avere avuto testimonianza diretta di alcuni casi e concludendo: "Sarebbe non voler mai finire, ne' senza tedio del lettore, se qui registrar si volessero tutti i casi particolari delle ricevute grazie per mezzo di quest'acqua, essendo quasi senza numero i fanciulli lebrosi e rotti, cosi' anche le persone inferme di scabia e calvizie, di cancrene nelle gambe, e mammelle, di febbri acute, terzane e quartane, di flussioni d'umori negli occhi, dolori di capo e di gola ed altri morbi piu' o meno gravi, che tutti, o di subito, o fra breve tempo sono per l'intercessione della Beata Venera risanati". Ed ancora: "Ne' mancano d'ogni tempo di concorrere al detto pozzo gli infermi, come ad una speciaria universale contro tutti i morbi; alcuni dell'acqua, come anco per virtu' divina e soprannaturale, comparendo quivi talvolta all'istess'infermi la medesima Santa".
Sempre del nostro autore apprendiamo, inoltre, che presso gli infermi era consuetudine lavarsi le parti ammalate sia che si trattasse di una malattia della pelle, che di "mal di canchero", o di mal della tigna, di dolori in tutte le giunture, di enfiaggini varie, ecc.; del pari molto ricorrente riscontriamo l'accenno all'uso di bere l'acqua per curare la stitichezza, l'asma, il mal di gola, le tossi violente. Accecato dalla sua fede, il Grasso non teme di incorrere in paradossi come il seguente: "Anzi perche' piu' facilmente guarissero dei loro mali ed infermita' si crede d'aver (S. Venera) dalla pieta' di Dio impenetrato che quivi miracolosamente scaturisse un fonte o pozzo d'acqua solfurea per uso dei bagni aggionti all'istess'ospedale, in forma di due stanzette a volta, una per gli uomini e l'altra per le donne, quali stanzette tuttavia in piede ... fino al presente vi sono". Le due stanzette a volta sono i resti dell'impianto romano, che arbitrariamente sono indicate come ospedale preesistente alla sorgente stessa.
Tuttavia, assieme ai paradossi ed alle note arbitrarie, il Grasso ci fornisce talora dei dati notevolissimi. Si legga - ad esempio - il seguente passo: "Questo pozzo o fonte e' cinto d'attorno con piccolo muro di forma rotonda, largo di bocca palmi 10 e 3 profondo; ma pieno d'acqua sorgente e sulfurea infino a faccia di terra. Negli anni passati stava scoverto in modo che ciascheduno entrar potea liberamente a lavarsi in esso, ma nel 1642 s'alzo' il muretto sopra terra non piu' di palmi due e fu coverto con grada di legno e poi nel 1661 fu dinovo alzato infin'a palmi sei, ne' si puo' prender l'acqua eccetto ad una fenestrella, il che fu fatto per conservarsi monda dalle sozzure de gl'infermi che vengono a lavarsi con essa, costumando alcun'altri di beverla per maggiore devozione della Santa". Il Grasso, scrivendo "ne' si puo' prendere l'acqua eccetto ad una fenestrella", accenna ad un dato di fatto proprio del suo tempo, sebbene ci sembri che esageri circa la ricchezza della sorgente. Oggi, pero', nulla e' rimasto del muretto originario. Come localizzare, dunque, la fonte cui egli accenna, dal momento che allo stato attuale esistono due sorgive? E' l'autore stesso che ce ne da' la possibilita', scrivendo che la Chiesa ricostruita nel 1620 aveva la "porta maggiore come era prima in faccia del memorando pozzo". Nel luogo indicato sorge oggi in stato d'abbandono una recente costruzione in cemento, che doveva servire come nuovo impianto termale e che invece serve soltanto a proteggere la sorgiva che scorre al di sotto delle sue fondamenta. La seconda sorgiva (Sorgente Pennisi) e' ad una trentina di metri dell'attuale prospetto delle antiche Terme ed e' coperta da una costruzione circolare con cupoletta e sfiatatoi laterali, che risale al tempo della costruzione delle nuove Terme.
Accennando infine alle caratteristiche proprie dell'acqua, il Grasso precisa che non era calda, sebbene presentasse dei bollori, e che nell'odore e nel sapore era in tutto simile alle altre acque sulfuree; unico elemento che rimaneva inspiegato - e quindi miracoloso - era il suo tingersi di vermiglio di tempo in tempo. Invero, a dar vigore all'idea del miracolo aveva avuto la sua parte un avvenimento naturale che aveva sviato le menti dei credenti. Nel 1610 e poi ancora nel '42, nel '47, nel '59, l'acqua improvvisamente e per qualche tempo, si era mutata da color giallo verde in un rosso-sangue: si grido allora al miracolo e si disse che l'acqua fosse cosi' colorata dal sangue stesso di S. Venera. Nel 1660, per ordine del Vicario Generale di Catania, si diede l'avvio ad un processo sui supposti prodigi avvenuti al pozzo di S. Venera. Furono pochi e sul momento mali ascoltati coloro che attribuirono il cambiamento di colore ad un vicino strato di terra rossa che l'acqua di tanto in tanto toccava, tingendosene.
Delle stesse opinioni del cappuccino Grasso si mostra l'abate veneziano Zilotti, autore di una "Vita di S. Venera" (1693), in cui fra l'altro leggiamo che "una costante tradizione assicura che due sale delle spaziose Terme furono trascelte da S. Venera per l'ospedale". L'abate non manca di soffermarsi anche sul "pozzo di acqua sulfurea, della quale chi ne beva con devozione riporta effetti meravigliosi". La testimonianza, tratta dal Gravina, accenna ancora una volta ad empiriche cure idropiniche i cui risultati positivi vengono regolarmente ascritti alla devozione.
Ancora nel 1731 Sebastiano Vasta Cirelli, riecheggiando le idee del Gravina, del Grasso, dello Zilotti, nel suo "Aci Antico" scrivera', con evidente aggiunta di sua invenzione, che fu la stessa S. Venera a "drizzare un ospedale in provvedere alle necessita' degli infermi".
Piu' tardi, nel 1757, Vito Amico nel suo "Lexicon Topographicum Siculum" nota: "Acquae in eo (pozzo) sulphureae ebulliunt, cutaneis morbis curandis aptissimae". Parecchio perplessi ci lascia il bollire delle acque, dal momento che gia' il Grasso, come sopra abbiamo rilevato, ci dice, piu' attendibilmente, che non erano calde, malgrado che in superficie talora si formassero delle bolle "che - egli aggiunse - ad un tratto svaniscono". Molto interessante e' invece apprendere che sin da allora le acque fossero giudicate particolarmente adatte alle cure delle malattie della pelle (cutaneis morbis curandis aptissimae).
La notizia dell'acqua "sulfurea e calda" ritorna ancora col Biscari, autore di un "Viaggio per tutte le antichita' della Sicilia" (1871), ed e' ripresa dal Marmocchi nel "Dizionario geografico": "... la calda e sulfurea e' utile alle malattie cutanee e chiamasi di S. Venera". A nostro avviso gli autori piu' che dare una testimonianza di un fatto che costi loro realmente, sembrano nei loro scritti riecheggiare un antico detto popolare: "Santa Venera ugghi, ugghi" (Santa Venera bolle, bolle). Donde anche la nostra suaccennata perplessita'.
Svanita la leggenda dei miracolosi interventi di S. Venera, le acque acesi si sono imposte esclusivamente per le loro naturali qualita' salutifere, e del resto il sempre costante ampliarsi e rinnovarsi delle Terme e' la piu' chiara testimonianza di quanto veramente benefiche esse siano, sicche' possiamo dire che ogni giorno trova riconferma quanto ebbe a scrivere un anonimo epigrammista greco del primo secolo av. Cr. che con molta probabilita' si riferiva proprio ad esse:
Una vecchia operaia, tutta storpia,
al buon nome dell'acque salutari
venne, arrancando con il suo bastone
di quercia, appoggio ai traballanti passi.
impietosi' le Ninfe, che sui cupi
fianchi dell'Etna vivono, nell'umida
casa del padre, il rapido Simeto.
E i femori le fece sani e forti
il caldo gorgoglio d'acque etnee.
Il suo bastone essa lascio' alle Ninfe
che l'offerta gradirono, felici
di vederla andar via spedita e dritta.